mercoledì 1 dicembre 2010

Themes from William Blake's The Marriage of Heaven and Hell: il più strano degli album possibili

L'alterità tra chi ascolta metal e chi non l'ascolta (compresi i fan delle inutili ballades di gruppi americani o americaneggianti) è riassumibile nel ben noto pregiudizio: il metal causa fastidio perché è pesante (affermazione tautologica), il metal estremo deve restare inesplorato perché è rumoroso e cantato con rutti e vomiti. Volendo stilare una classifica del metal estremo poi ci viene da mettere in testa il black metal, freddo, ostile, cattivo. I non metallari non si sognerebbero mai di ascoltare black metal, specialmente se preso nella sua radice più autentica, il cosidetto TNBM (true norwegian black metal), l'insieme di gruppi della scena norvegese di inizio anni '90. Per chi bazzica poco queste frontiere basti ascoltare la prima traccia di un album decisamente TNBM: Nattens Madrigal - Aatte Hymne Til Ulven I Manden degli Ulver:



Terribile, vero? Uno strazio, per certi versi incomprensibile. Quest'album è il terzo all'attivo degli Ulver (Lupi, in norvegese). La loro storia è fino a questo punto quella di un normalissimo (si fa per dire) gruppo della scena black norvegese: quando nasce il progetto i membri sono giovanissimi (il cantante, Garm, è del 1976) e pare abbiano una gran voglia di far sentire la loro musica: tra 1993 e 1997 escono un EP e tre album. Il loro sentiero musicale pare ben definito, riconoscibile e con spunti originali, ma inquadrato in quei fenomeni tipici dei musicisti della scena black coeva: la fusione, tipicamente norvegese, tra elementi black e folk nel primo album Bergtatt, un secondo album completamente folk come Kveldssanger, un terzo album completamente black, freddo, volutamente con una qualità di registrazione bassissima come il succitato Nattens Madrigal.
Un'ottima carriera, certo, ma destinata a rientrare nel panorama (forse) ristretto del black metal. E invece gli Ulver stupiscono tutti. Nel 1998 esce il loro quarto album Themes from William Blake's The Marriage of Heaven and Hell e niente è più come prima. Gli Ulver abbandonano, decisamente e senza rimpianti, il black metal: è un album generalmente definibile come avant-garde metal (definizione vaga, ma Garm è sicuramente tra quanti portano avanti con più decisione il genere) e decisamente orientato verso l'elettronica. Un cambio di genere musicale nettissimo. Quest'album serba infatti qualche memoria di sonorità "pesanti", ma sono talmente integrate e circondate dal nuovo genere intrapreso da sembrare solo delle scelte stilistiche, non degli echi di album passati. Themes from William Blake's The Marriage of Heaven and Hell potrebbe, insomma, essere un album maturo (musicalmente è molto consapevole) di un gruppo che non ha mai suonato black metal.
Già questo mi sembra un fatto degno di nota. Ma una caratteristica è ancora più sconvolgente e rende particolare e unico questo album: i testi. Come denuncia il titolo gli Ulver si ispirano ad un'opera del noioso poeta inglese Blake, vissuto a cavallo tra Settecento e Ottocento: The Marriage of Heaven and Hell. E cosa fanno per renderla nel modo più certo e completo? La mettono in musica! Provare per credere: i testi delle varie tracce non sono altro che le varie sezioni dell'opera, riportate (quasi) integralmente.
Non mi viene in mente niente di simile o comunque paragonabile.
L'idea (sicuramente curiosa e encomiabile) di unire così radicalmente musica contemporanea e letteratura "vecchia" e consacrata poteva peraltro rimanere un tentativo inconcludente. Invece l'album si presenta armonioso e meritevole dall'inizio alla fine (la durata è peraltro scoraggiante: 100 minuti compresa la coda di silenzio di ben 20 minuti). Peraltro la variazione di genere e d'influeza ne allarga enormente il raggio di pubblico, rendendolo decisamente un album al di sopra di ogni genere e catalogazione.
Una scelta che sicuramente colpisce (se vogliamo continuare a stupirci di questa stupefacente opera) è la scelta dell'opera da mettere in musica. William Blake è autore di una letteratura visionaria e unica che decisamente spiazza il critico e il lettore. Wordsworth lo definì "mad", senza alcun giro di parole, le incisioni e i disegni che ci ha lasciato ci fanno capire che ci troviamo davanti forse a un genio, sicuramente a un incompreso. Romantico e visionario, Blake aveva nei confornti della religione tradizionale un atteggiamento ambivalente. Il suo credo, astruso e modernissimo, è tutto in quest'opera scritta per apparire come una sorta di testo sacro, un vangelo dionisiaco dell'energia. A noi non resta che ringraziare gli Ulver che nel passare dal black metal della loro adolescenza all'elettronica e al trip hop dell'età adulta ci hanno fatto scoprire questo testo così strano e immaginifico e coinvolgente.
Un album da non perdere, come anche la restante carriera dei bravi Ulver.

La traccia più rilevante è forse Proverbs of Hell in cui la fusione tra musica, voce, testo lettarario si fa praticamente perfetta e inimitabile.

Occulti Vates

Playlist con l'album, qui.

mercoledì 8 settembre 2010

Hammerheart: il migliore degli album possibili


Qualcuno ha detto che il metal tra trecento anni sarà considerato musica classica. Questo parere ci sembra forse troppo condizionato da sovrastrutture di pensiero per essere completamente condivisibile. Contiene in sé però una grande verità: il metal è un sistema autonomo. È infatti esperienza comune di quanto i metallari siano distinguibili dal resto della folla e quanto sia vasta la galassia del metal. Il metal non è più un genere musicale: è un periodo storico autonomo. Al suo interno la divisione in generi è tale da manifestare in pieno questa realtà.
È passato molto tempo da quando si cercava di distinguere (spesso con difficoltà) heavy metal da hard rock e a posteriori alcune scelte ci sembrano improbabili. Possiamo dubitare che i Black Sabbath (i padri stessi del genere) degli anni ’70 siano metal, ma non possiamo dire lo stesso di gruppi come Mayhem, Sepultura, Cannibal Corpse. Il metal è un mondo a sé stante diviso in generi molto diversi tra loro. La sua storia deve essere approfondita come quella di qualsiasi periodo storico. Anche perché il metal, oltre ad avere un suo sviluppo interno (per cui il suo evolversi può essere vista come una continua ricerca di un suono sempre più pesante), riflette e si nutre delle contingenze musicali e culturali circostanti. Senza l’hardcore non ci sarebbe stato trash metal, l’hair metal è concepibile solo inserito nel (dubbio) gusto degli anni ’80.
Questo discorso vale anche per il folk metal. È sul finire degli anni ’80 che salta fuori il folk metal: e sono proprio gli anni in cui l’intera musica palesa il suo interesse per le musiche tradizionali. Sono gli anni dei Pogues (forse è proprio il punk a generare questo fenomeno, nella sua accezione d ritorno alle origini della musica), sono gli anni del proliferare della musica irish, seguita a ruota da folk locale ad ogni latitudine. Possiamo peraltro notare come negli stessi anni le esigenze delle realtà locali riemergano potentemente in molti stati dell’Occidente.
Anche nel metal viene fuori il folk. Il primo genere ascrivibile a questa categoria è sicuramente il viking metal. Pionieri del viking metal sono i Bathory. Bathory è l’one man band di Quorthon, musicista geniale che non dovrebbe essere relegato ai soli metallari, ma ascoltato e riverito da tutti coloro che si interessano di musica.
I Bathory iniziano la loro carriera nel 1983 (quando lo svedese Quorthon ha solo diciassette anni) con l’album omonimo. È un album rivoluzionario: bassa qualità, sound ispirato al recente trash metal, primo utilizzo di uno scream violento, tematiche sataniste. Successivamente sarà ritenuto il primo album black metal della storia e la prima ondata di gruppi black metal (la scena norvegese di inizio anni ’90) vedrà in Quorthon una sorta di “padre fondatore”.
Quorthon continua la sua ricerca musicale, sviluppando un proprio percorso autonomo. A partire dal suo quarto album, Blood Fire Death (1988) possiamo riscontrare un netto cambiamento: i ritmi rallentano notevolmente, fanno la loro comparsa tematiche e suoni “nordici”. L’interesse per la storia scandinava da vita a testi di argomento mitologico e storico. È la preparazione alla rivoluzione folk, all’invenzione del viking metal.
Questa rivoluzione si attua pienamente nel successivo album, Hammerheart (1990). Di fronte a quest’album non possiamo non rimanere stupiti. È decisamente metal, l’uso delle chitarre fa capire che ci troviamo di fronte ad un gruppo scandinavo, le melodie ci fanno capire che è un album dei Bathory. Ma c’è ben altro. C’è musica completamente nuova. Ci troviamo di fronte al primo album viking (e quindi folk) metal.
Hammerheart è un concept album. Nel dipanarsi attraverso otto lunghe tracce, ci viene restituito un affresco della vita e della società degli antichi abitanti del Nord. Ci sono gli assalti vichinghi, c’è la vita quotidiana, c’è il culto agli dei e la speranza nel Valhalla, c’è il racconto drammatico della cristianizzazione della Scandinavia. Ascoltandolo si resta ammutoliti, pare veramente di essere sbalzati indietro nel tempo, sulle rive del freddo mare, in un villaggio dove ferve la vita, in un mattino in cui i giovani si imbarcano per spedizioni avventurose al di là del mare, cercando l’eroica morte, segno che Odino (costantemente invocato) li ha accolti nel banchetto eterno. Gli abitanti del Nord sono resi vivi, non sono Vichinghi stereotipati, ma proiezioni mentali di una cultura che si riscopre e gelosamente si rivendica. Pare di trovarci di fronte ad un lavoro di riscoperta delle tradizioni ottocentesco, pare di avere sotto gli occhi (nelle orecchie), l’opera di un autore Romantico o di uno studioso del Folklore.
In quest’album c’è forse traccia del sistema di valori e delle idee che il riservato Quorthon preferì sempre tenere per sé: amore per la propria terra, ricerca di una comunione spirituale con la natura, consapevolezza dell’orgoglio del proprio retaggio, sofferenza nei confronti dell’imposizioni (l’anticristianesimo dei Bathory fu sempre questo: rifiuto di un sistema ideologico imposto che strozzò gli antichi costumi nordici, costringendoli ad uno snaturamento). Ci troviamo di fronte ad un sistema di valori positivo e propositivo e ci paiono lontanissimi gli eccessi e gli atti illogici spesso compiuti da esponenti dello stesso genere musicale che si ispiravano a Quorthon (e che Quorthon condannò).
Musicalmente Hammerheart è un album innovativo. Possiamo certamente riscontrare dei difetti (spesso la vocalità di Quorthon fu tacciata di monotonia), ma dobbiamo anche riconoscere un ricorso consapevole a vari accorgimenti che traslano l’album da semplice prodotto musicale a ben altro. L’elaborazione dei testi, la ricerca di uniformare l’album per renderlo un’opera unitaria non possono non essere notati.
Hammerheart fu dunque il primo album folk metal, ma è tutt’ora un prodotto altissimo di questo genere e forse qualcosa in più: un grande prodotto dell’umanità, meritevole di studio e lode.
Di cosa parla quest’album tanto incensato? Ecco una breve esposizione delle varie tracce:

Shores in Flames

A primavera possono cominciare le scorribande dei guerrieri. I vichinghi s’imbarcano intrepidi pregando gli dei di dare loro la vittoria. Si avvicinano alle mura di una città per attaccarla all’alba. Il coraggio è dalla loro, come la consapevolezza che, se cadranno, verranno accolti nell’alto dei cieli, nel Valhalla.

Valhalla

Un guerriero morto, disteso nella sua barca. Una preghiera al possente dio del tuono, che lo accoglierà nel Valhalla “great warriors hall”.

Baptized in fire and ice

Un figlio del nord, a termine della propria vita, è consapevole che continuerà a vivere nella sua discendenza. Infatti, i riti del fuoco e del ghiaccio fanno sì che i figli delle tribù del nord vivano in armonia con la natura, riconoscendo i poteri che agiscono nel mondo. Gran bel testo.

Father to son

Come nella canzone precedente c’è la consapevolezza del proseguimento di se stessi nella propria discendenza. Un padre tiene in braccio il proprio erede, cantandogli cosa sarà la sua vita: la trasmissione della propria cultura è l’unico modo per perpetuarsi.
Oh, my child please take heed
Through you I am granted to live on
These words more worth than you will ever know
Make them live on from Father to Son

Song to hall of up high

Un inno ad Odino, dio che veglia sui suoi figli. La voce di Quorthon lo rende commovente.

Home of once brave

La consapevolezza della voce narrante di una terribile idiosincrasia: da una parte lui ricorda il passato della terra in cui vive, i valorosi uomini che l’abitarono. Dall’altra i suoi contemporanei stanno dimenticando e si è persa in loro la meraviglia di fronte alla bellezza della libera terra del Nord.

One rode to Asa Bay

In una lunga canzone viene raccontata la cristianizzazione forzata della popolazione scandinava. Il cristianesimo, visto come imposizione esterna, è destinato a modificare per sempre le abitudini ed i costumi delle tribù del Nord.
And whispered silent words forgotten
Spoken only way up high
Now this house of a foreign God does stand
Now must they leave us alone
Still he heard from somewhere in the woods
Old crow of wisdom say
...people of Asa land, it's only just begun

Occulti Vates

Maggiori informazioni, qui.
L'album su youtube, qui.

venerdì 18 giugno 2010

Arrivederci al mostro, bentornato al Liga!



“Arrivederci, mostro!”. Lo stesso cantautore ha spiegato un po’ ovunque, durante il suo “giro d’Italia” per promuovere il disco, questo enigmatico titolo: “Ognuno di noi ha i propri mostri, i propri fantasmi. Li si possono chiamare ossessioni, paure, condizionamenti (…) Sappiamo, però, che sono vivi e sono il filtro attraverso cui chiunque matura la propria, personale visione del mondo. Credo di conoscere abbastanza bene i miei ‘mostri’, mi fanno compagnia da tanto tempo. Può darsi che sia anche per questa lunga frequentazione che ora, in questa fase della mia vita, mi sembrano meno ‘potenti’ e ‘ingombranti. Alcuni di loro li ho affrontati in questo album ma era solamente per fargli sapere che li stavo salutando. Loro come tutti gli altri. So benissimo che sarebbe fin troppo bello che fosse un saluto definitivo. Infatti non mi sono permesso di dire: “Addio, mostro!” ma un più prudente e realistico: “Arrivederci, mostro”.

A cinque anni dal suo precedente lavoro (“Nome e cognome”), “Arrivederci, mostro!” sembra voglia dare un taglio netto rispetto al passato recente dell’artista, fatto di canzoni dalla musica melodica e dai testi introspettivi e romantici, e recuperare piuttosto l’anima rock dei suoi esordi. Infatti, tranne pochissime eccezioni, le tracce del disco sono caratterizzate dalla presenza quasi ingombrante di chitarre elettriche, bassi e batteria che si sovrappongono e si completano, dando vita a ritmi frenetici, incalzanti e coinvolgenti.

Ed è proprio così che si inizia: “Quando canterai la tua canzone”, la prima traccia dell’album, parte con piglio deciso e inequivocabilmente rock. Ligabue lancia una sorta di incoraggiamento a usare la propria testa per prendere decisioni senza condizionamenti e fare in modo di condurre la propria vita dove si vuole; un invito a fregarsene di chi “non sa sentire” e a cantare sempre e comunque “con tutto il tuo volume”. Si continua con “La linea sottile”. Sembra di ascoltare una canzone molto più tranquilla della precedente, salvo poi rimanere sorpresi dal rullo di batteria che esplode nel ritornello. Si potrebbe dire che con queste parole Ligabue voglia scuotere gli ignavi del nostro tempo (“Cosa pensi di fare? Da che parte vuoi stare?”), costringerli a scegliere tra lo stare al di qua o al di là di quella linea sottile. Arriviamo poi alla terza traccia, “Nel tempo”, canzone a cui il cantautore tiene particolarmente e che riassume parte degli eventi che hanno segnato la sua vita, dai primi ricordi di bambino a quelli più recenti degli anni di piombo, da “Zorro, Bleck e Braccobaldo” a “i Police a Reggio”, da “Belfagor e Carosello” a “Berlinguer e Moro”. Il ritmo incalzante, scandito dalla batteria, è funzionale al veloce susseguirsi degli avvenimenti narrati e fanno di questo pezzo probabilmente il più potente e veloce del disco. Il quarto brano è il primo pezzo veramente “soft” dell’album, una ballata romantica e struggente dal titolo “Ci sei sempre stata”, in cui si ha la sensazione dell’ineluttabilità di certi incontri, della consapevolezza che certe persone siano state messe al mondo per venire in qualche modo a far parte delle nostre vite, ad allietarle. Il tutto condito da una sorta di mistero al quale Ligabue non sa dare una spiegazione (“Più ti guardo e meno lo capisco da che posto vieni”), ma che accetta come un dono, quando nel ritornello dice “quando il cielo non bastava non bastava la brigata eri solo da incontrare ma tu ci sei sempre stata”. Il lungo assolo di chitarra finale è mescolato a una serie di suoni concreti (il pianto di un bambino, il tuono di fuochi d’artificio, i sospiri di una donna) come a volere farci vivere anche attraverso questi suoni “familiari” le emozioni che già da sé la canzone suscita e a enfatizzarle. “La verità è una scelta”: un bellissimo aforisma, ma soprattutto titolo molto evocativo della quinta traccia del disco. Anni e anni di disquisizioni filosofiche sul concetto di verità, ma Ligabue giunge alla sua propria conclusione: la verità è qualcosa di oggettivo e tangibile, ma ognuno di noi può decidere di farci i conti oppure scegliere di non vederla, di nasconderla ("ogni battito è una scelta/ ogni sguardo mantenuto/ ogni nefandezza che hai scordato/ ogni tanto non ci pensi/ vuoi soltanto andare avanti/ e schivare tutti gli incidenti"). Questo concetto è reso benissimo, a mio avviso, dal verso “di giorno sempre un occhio chiuso/ di notte uno aperto” col quale, appunto, si intende indicare la cecità davanti ai problemi e la voglia di non curarci, quando siamo svegli, degli stessi problemi che di notte ci impediscono di dormire. Le sonorità sono dure e incisive, proprio per rafforzare questi concetti così estremi. Al sesto posto troviamo “Caro il mio Francesco”, canzone scritta sotto forma di lettera all’artista e amico di sempre Francesco Guccini, nonché liberamente ispirata alla sua “Avvelenata”. Questa canzone si distacca completamente dallo stile di tutto l’album: la musica è quasi completamente assente, il testo è lunghissimo e il ritmo meno frenetico per far cogliere a chi ascolta tutto il peso delle parole che lo compongono; le parole sono sussurrate, quasi recitate, con voce calma e pacata, completamente in antitesi con quello che è l’argomento del brano: il tradimento e l’ipocrisia dei colleghi, le polemiche montate per avere visibilità e un “titolo più largo” sul giornale. Il linguaggio diventa a tratti duro e inflessibile (“parlavano di stile, di impegno e di valori/ ma non appena hai smesso di essere utile per loro/ eran già lontani,/ la lingua avvicinata a un altro culo”, “quei presunti mi puri/ mi possono baciare queste chiappe allegramente”), ma è lo stesso cantautore ad ammettere che si è “fatto prendere la mano/ perché uno sfogo fa sbagliare spesso la misura” e a dichiarare che andrà avanti, come ha sempre fatto, “a cantare della vita/ sempre e solamente per come io la vedo/ che la morte se la suona e se la canta/ chi non sa soffrire da solo”. La settima canzone, “Atto di fede”, si apre in sordina: poche chitarre, la voce roca e calda di Ligabue su un accompagnamento di tastiere. Ma il ritmo cambia decisamente dopo pochi secondi, a poco a poco che si allunga l’elenco delle cose che sono ormai entrate a far parte della vita dell’artista (“ho visto mari calmi/ e mari tempestosi/ e ho visto in sala parto/ la potenza delle cose”), alcune poco piacevoli ("ho visto tanti Giuda/ tutti in buona fede/ e ho visto cani e porci/ fatturare a chi gli crede"), ma altre meravigliose ("ho visto la bellezza/ che ti spacca il cuore/ e occhi come il mare/ nel momento del piacere"). Solo a questo punto troviamo “Un colpo all’anima”, il primo singolo estratto dall’album, e brano, a mio parere, non particolarmente entusiasmante. Quindi ci si chiederà il perché di questa scelta. Credo che il motivo sia puramente commerciale: è una canzone molto orecchiabile e facilmente memorizzabile a causa delle tante ripetizioni. In poche parole adatta a diventare un tormentone per l’estate che sta arrivando. Alla nona canzone mi sento già particolarmente affezionata poiché è tratta da una poesia scritta dallo stesso Ligabue (in “Lettere d’amore nel frigo”, ed. Einaudi, 2006), riadattata e limata per questioni di metrica. “Il peso della valigia” è una canzone commovente e che trasuda nostalgia da ogni verso: si parla di valige di cartone, rossetti finti, astucci di gemme, di oggetti cari a una bambina già diventata donna, i cui “occhi han preso il colore del cielo/ a furia di guardarlo”. “Taca banda” risulta un piccolo gioiello di musica blues, coinvolgente e allegra, che prende in giro diverse tipologie umane con il solito humoralla Ligabue (“alcuni sputano tutte le proprie sentenze/ senza nemmeno averle masticate”). Segue “Quando mi vieni a prendere?”, canzone impegnata e impegnativa, ispirata alla vicenda di Dendermonde, Belgio, dove, il 23 gennaio 2008, un ragazzo di vent’anni entrò in un asilo armato di un coltello e uccise una maestra e due bambini. Si tratta di una ballata triste e drammatica, resa tale ancora di più dal fatto che il cantautore ha cercato di raccontare il tutto dal punto di vista di uno di quei bambini. Per questo il linguaggio è estremamente semplice e le domande incalzanti del bimbo e le sue scuse per aver fatto arrabbiare i genitori sono disarmanti, quasi fosse colpa sua tutto quello a cui stava assistendo. Anche in questo caso la musica viene ridotta al minimo dell’invadenza, le chitarre sostituite da un’orchestra d’archi che sembra che piangano e da un suono di carillon che acquista, qui, una connotazione drammatica. L’ultima traccia del disco si intitola “Il meglio deve ancora venire” e fa sorridere la scelta del suo posizionamento. Nonostante tutto, nonostante i “mostri”, il futuro non sarà poi così orribile, ci dice Ligabue. Lui sembra crederci davvero e cerca di trasmettere tutto questo suo entusiasmo in un pezzo rock forte e travolgente, che sicuramente farà scatenare tutti gli stadi in cui verrà suonato.


LA BAND:
Alle ‘macchine’ in studio, l’ingegnere del suono Chris Manning (già famoso per aver collaborato con Santana, i Metallica e Joe Satriani). Gli altri musicisti sono quelli della band del tour: Michael Urbano alla batteria, Kaveh Rastegar al basso, Fede Poggipollini alle chitarre, Niccolò Bossini sempre alle chitarre e Luciano Luisi alle tastiere.
Tra gli ‘ospiti’, invece: il Solis Strings Quartet in “Quando mi vieni a prendere” e Lenny, il figlio undicenne del Liga che suona la batteria in “Taca banda”.

CURIOSITÀ:
Verso il finale un assolo di chitarra in “Quando canterai la tua canzone” viene doppiato dal suono ottenuto soffiando su un pettine coperto da carta velina, un vecchio trucco blues che poggia però su suoni decisamente attuali.
Prima eccezione nella sua discografia, “Arrivederci, mostro” non vede Ligabue né in veste di produttore né di co-produttore. Tutto il lavoro (incluse alcune parti di chitarra) è stato affidato invece a Corrado Rustici, storico produttore e chitarrista italiano, già insieme a Ligabue ne “Gli ostacoli del cuore”, “Niente paura”, “Buonanotte all’Italia” e “Il centro del mondo”.

Valeria

martedì 8 giugno 2010

Road to South Africa 2010

per quest'immagine guarda qui

L'appuntamento è di quelli speciali, di quelli che capitano ogni quattro anni, di quelli che regalano sempre grandi emozioni e non tradiscono mai le attese. Eccoci arrivati, mancano pochi giorni all'inizio della manifestazione più bella del calcio mondiale, che riunisce nel suo grembo grandi e piccole squadre di tutte le parti del mondo, che annulla le differenze di etnia, religione, costumi e usanze, accomunandoli nell' unitario gioco del pallone, il gioco più bello del mondo. Ancora una volta, l'appuntamento con i Mondiali, arriva in un momento particolare, di recessione e crisi a livello globale, pensieri che sembrano annullarsi e non esistere di fronte a ventidue ragazzi in campo, che danno tutto per innalzare l' agognatissimo trofeo che conferirà al possessore l'entrata nella storia. Ancora una volta 32 partecipanti, otto gironi che daranno una prima scrematura, fino agli ottavi, ai quarti e semifinali, per poi assistere alla magica finalissima dell' 11 luglio. Lo sfondo sarà questa volta quello del Sud Africa, paese che sta sostenendo una grande crescita e ha mostrato già nell' organizzazione della Confederations Cup molte potenzialità per il futuro, attraverso buone infrastrutture e tifo più che animato e tranquillo. Per la grande presenza di pubblico, per il grande evento che si viene a celebrare vogliamo credere che sarà una competizione di tutto rispetto, in cui vedremo bel gioco, grinta, voglia di vincere e (chissà) qualche sorpresa. Oltre ai soliti protagonisti, alle squadre favorite e ai grandi allenatori, durante la fase di qualificazione eliminatoria abbiamo assistito ad alcune esclusioni "eccellenti", soprattutto per quanto riguarda le compagini di provenienza europea: mancano infatti all' appello Croazia, Svezia, Russia, Ucraina, Romania, Polonia, Repubblica Ceca, per non dimenticare l' Irlanda, estromessa dalla Francia allo spareggio con quel gol di mano di Henry che ancora brucia il cuore di Trapattoni e irlandesi. Le prime tre erano sempre state presenti nelle ultime edizioni, sia ai Mondiali che agli Europei e al loro posto si sono inserite delle formazioni giovani che hanno tutta l'intenzione di fare bene. Fuori dai giochi, per quanto riguarda gli altri continenti, anche quell' Egitto che compromise la qualificazione azzurra alla semifinale della Confederations, oltre alla Cina, all' Iran, al Senegal, alla Turchia grande esclusa, alla Tunisia. E' forse segno che il calcio è cambiato, si sta evolvendo ed è forse il segnale che molte nazionali stanno investendo nel calcio grandi risorse e vogliono ottenere risultati importanti. Sarà proprio in alcuni casi la loro presenza a rendere maggiormente emozionante l'intero cammino verso la finale. Sarà importante infatti per le "Grandi" prestare parecchia attenzione a queste nuove "matricole terribili" che la stessa Italia dovrà affrontare. Ma andiamo a vedere nel dettaglio il quadro completo che l'urna ha stabilito per i gironi eliminatori:


GRUPPO A

Nel primo gruppo è stato inserito il Sud Africa, qualificato d'ufficio come paese ospitante, insieme al Messico, all' Uruguay, alla Francia, retrocessa in quarta fascia essendosi qualificata soltanto con il doppio spareggio da dentro/fuori con l' Eire. Gli africani hanno dalla loro i propri stadi, i propri tifosi e una squadra giovane, con buoni elementi che già avevano fatto vedere buone cose l'anno scorso alla Confederations Cup, come Masilela, Parker, Booth, Pienaar. Se si faranno valere come hanno fatto un anno fa, di certo non possono che stare allegri i supporters sudafricani: il passaggio del turno non sembrerà impresa poi così impossibile. Di fronte ci sarà il Messico, una delle squadre più giovani dell' intero torneo, davvero in grado di fare male là davanti, con la coppia Vela- Medina, con il supporto dei vari Magallòn, Salcido, Guardado, Dos Santos e del sempre attivo 37enne Blanco, vero capitano morale della squadra. Appaiono queste prime due compagini le favorite per il passaggio alla fase successiva, anche se dovranno vedersela con l'Uruguay, che ha in rosa gente del calibro di Caceres, Cavani e Martinez (tutte conoscenze del nostro campionato), oltre a Forlàn, vincitore dell' Europa League con il suo Atletico Madrid. Ultima, ma non ultima, la Francia, trionfatrice nel '98 e finalista nella scorsa competizione nella finale di Berlino vinta dagli Azzurri ai calci di rigore: una squadra sempre agli ordini di Domenech, c.t. tanto discusso quanto anti-italiano (non ha convocato un solo giocatore della nostra serie A e dire che ce ne sono!), che non ha di certo brillato nelle qualificazioni e anzi si è guadagnata la palma di "Ladra" per il mani galeotto di Henry in occasione del gol all' Irlanda che ha portato la qualificazione. I "Galletti" arrivano un po' in sordina all' appuntamento con la manifestazione, ma si affideranno ai vari Ribery, Gourcuff, Anelka, allo stesso Henry e Malouda. Ne vedremo delle belle, già dal gruppo A non manca lo spettacolo.



GRUPPO B

Nel secondo raggruppamento è stato inserita l' Argentina del chiacchieratissimo Maradona, che viene sempre più spesso accostato alle malaugurate convocazioni che al gioco espresso dalle sue tattiche; le critiche nei suoi confronti non si sono fatte attendere nemmeno in questa occasione: dopo la qualificazione ottenuta in extremis nel girone sudamericano, l'ex "Pibe De Oro" ha lasciato a casa i campioni d' Europa interisti Zanetti e Cambiasso e ha portato il Genio Milito aggiungendo che "si giocherà il posto con gli altri. Per me sono tutti uguali". Decisioni a parte, quando si può contare su uno come Messi c'è poco da scherzare. Quando poi si aggiungono anche Mascherano, Higuain, Aguero, Samuel, Tevez, la qualità parla da sola. Ad arginare i biancoazzurri ci saranno i diavoli neri della Nigeria, formazione tosta e dalla grande resistenza fisica, che nelle ultime edizioni di Mondiali e Coppa d' Africa ha sempre impressionato in positivo, oltre a poter contare su ottimi elementi quali Martins, Obinna e il sempreverde Kanu, più Taiwo e Afolabi in difesa. La terza squadra a far parte del quartetto è la Grecia campione d' Europa nel 2004 e guidata dal maestro di tattica Otto Rehaggel, che ha mantenuto parecchi elementi di quella memorabile impresa, anche se non è più riuscito a ottenere granchè. Karagounis e compagni non sono comunque da sottovalutare, poichè anche se non hanno impressionato particolarmente, nelle competizioni ufficiali possono dire la loro, anche se si sono qualificati all' ultima occasione possibile, eliminando cioè l' Ucraina negli spareggi. Infine, la Corea del Sud, che appare la meno favorita al passaggio agli ottavi, ma che potrebbe riservare qualche amara sorpresa alle altre tre formazioni. Ahn Jung Hwan (autore del gol che eliminò l' Italia nel 2002 grazie all' arbitro Moreno) guiderà i suoi alla riscossa.



GRUPPO C

Testa di serie sarà l' Inghilterra di Fabio Capello, una delle favorite per il trionfo finale, che avrà a disposizione praticamente tutti gli effettivi, compresi Rooney, Lampard e Gerrard, pronti a dare spettacolo ed a mettere subito in chiaro la supremazia nel girone. Naturale che gli avversari non staranno lì a guardare: su tutti svettano gli USA, secondi classificati a sorpresa un anno fa in Confederations Cup, che hanno fatto di Dempsey, Donovan, Altidore, Clark veri eroi nazionali. Convocato anche il milanista Onyewu, voglioso di riscattarsi da una stagione costellata di infortuni. In aggiunta agli States anche la Slovenia, capace di eliminare la Russia e di conquistarsi con le unghie un posto al Mondiale, contando anche sulle nostre conoscenze Jokic (Chievo), S. Handanovic (Udinese) e J. Handanovic (Mantova). Avversario assolutamente non da sottovalutare: partendo da sfavorita non ha nulla da perdere; Stati Uniti e Inghilterra sono avvisati. Infine, l' Algeria, che appare inferiore alle altre tre formazioni, soprattutto per lo scarso bagaglio di esperienza in competizioni internazionali. Il sogno per i biancoverdi di arrivare alla fase finale si è concretizzato attraverso lo spareggio con l' Egitto e adesso di certo non vogliono abbandonarlo così facilmente. Uno dei giocatori di maggior spicco è Abdelkader Ghezzal, appena retrocesso in B nel campionato italiano con il suo Siena e che proverà ad essere incisivo là davanti per dare speranza ai suoi. Grandi favoriti sono ovviamente gli inglesi, mentre gli Stati Uniti appaiono indiziati al secondo posto, ma anche se sembra un girone abbastanza consolidato possono esserci sorprese.


GRUPPO D

Nel gruppo D è inserita la Germania, quella formazione che è stata sconfitta dagli Azzurri ai supplementari nella semifinale di Germania 2006, pronta al repentino riscatto alla prima occasione. I tedeschi conteranno sui soliti Schweinsteiger, Klose, Podolski, che da diversi anni hanno le chiavi dell'attacco, oltre agli esperti Mertesacker e Lahm in difesa. Coach Loew ha creato una squadra giovane, puntando così sulla voglia di mettersi in mostra e sul talento emergente. Non sarà però un cammino facile per i bianchi, anche perchè si troveranno di fronte l' Australia, con praticamente la stessa rosa di 4 anni fa, in grado di spaventare l' Italia agli ottavi nella scorsa edizione (rigore di Totti al 95') e sempre piuttosto competitiva. Ci sarà anche la Serbia di Zdravko Kuzmanovic e Dejan Stankovic, pronta a mettere i bastoni tra le ruote a ogni avversario, con l'aiuto di Vidic, Lukovic, Kolarov e del giovane Krasic, inseguito da mezza Europa. Infine, il Ghana, squadra valutata pochissimo nello scorso Mondiale, che uscì al primo turno nel girone con Italia, USA e Repubblica Ceca, ma che ha bissato la qualificazione alla fase finale: una bella iniezione di fiducia per Muntari e compagni, segno evidente che quella di 4 anni fa non fu una partecipazione casuale. Avversari avvisati.


GRUPPO E

Uno dei gironi sicuramente più equilibrati fra gli otto estratti: l'Olanda parte da grande favorita, soprattutto grazie alla coppia a centrocampo Robben-Sneijder, vere furie della stagione appena passata, oltre a Kuyt, Babel, Van Persie, Van Bommel e Van Der Vaart, ossatura di una compagine che non fa certo mistero di puntare almeno alla semifinale. Attenzione però alle altre componenti del girone: ci sarà la Danimarca, unica delle nordiche europee ad avere raggiunto la fase a gruppi (out infatti alle qualificazioni Finlandia, Islanda, Norvegia e soprattutto Svezia) e che sarà come sempre squadra compatta e vigorosa, con Bendtner e Tomasson là davanti e Jorgensen, Kjaer, Kroldrup e Poulsen inseriti nella lista dei 23. A complicare i piani ci saranno anche il Giappone, mai troppo spauracchio delle avversarie ma che potrebbe riservare delle sorprese (in particolare con Nakamura e Honda) e il Camerun di Samuel Eto'o, altra squadra non dall' altissimo potenziale tecnico, ma dalla grande resistenza e dalla bassa età media dei calciatori. Matches tutti da seguire in questo girone, ne vedremo delle belle.


GRUPPO F

Il gruppo dell' Italia. Non resta altro da dire: i Campioni Del Mondo si presentano all' appuntamento da sfavoriti, come tutti i campioni uscenti, ma con la consapevolezza di essere ancora in cima al tetto del mondo. Il girone capitato ai nostri non si presenta nemmeno di quelli impossibili, anche perchè una volta tanto l'urna ci ha sorriso. La squadra più forte oltre agli Azzurri appare essere il Paraguay: i sudamericani sono una squadra concreta che può contare su elementi come Barrios, giovani e dalle ottime qualità. Sarà subito un test importante nella prima partita, cominciando a vedere in che direzione sarà indirizzato il gruppo. Le altre avversarie non sembrano destare particolari problemi, anche se nel calcio non è mai facile dare pronostici sicuri: da una parte la Slovacchia di Hamsik, l'unico giocatore davvero degno di nota della rosa, che ha avuto il merito di qualificarsi senza passare dagli spareggi; tuttavia, gioca a sfavore dei centroeuropei la poca abitudine alle competizioni ufficiali, anche se spesso le squadre cosiddette "sconosciute" possono davvero creare sorprese. Lo stesso discorso vale per la quarta formazione inserita nel gruppo F, la Nuova Zelanda, altra compagine "piccola", che ha già partecipato -con non molto successo- alla Confederations Cup della scorsa estate prendendone 5 dalla Spagna di Torres e Villa. L'uomo migliore dei bianchi, Chris Killen, rischia di non giocarsi questa grande possibilità a causa di un infortunio. Potrebbe essere la tegola definitiva per gli oceanici.


GRUPPO G

L'estrazione nel gruppo G ha portato alla futura sicura esclusione di una squadra che poteva fare un buon Mondiale. E' finito infatti nello stesso girone, con il Brasile, vincitore della Confederations Cup (che solitamente "porta male" per il Mondiale successivo) dei grandi campioni dell' Inter, di Kakà, di Luis Fabiano, di Robinho (non c'è bisogno di argomentare: il Brasile è una squadra che ha sempre saputo parlare da sola), anche il Portogallo di Cristiano Ronaldo, il giocatore più pagato della storia del calcio (98 milioni di euro da Florentino Perez per farlo arrivare al Real Madrid), di Deco, di Nani, che vorrebbe andare a contendersi una finale come nel 2004 agli Europei, quando fu beffato dal gol di Dellas al 117' che diede la coppa agli ellenici. A farne le spese potrebbe essere la Costa D' Avorio di Drogba (quest' ultimo a rischio partecipazione per un infortunio al braccio), che dovrà lottare con i denti per farsi largo tra le maggior blasonate avversarie. La cenerentola del raggruppamento sembra essere la Corea Del Nord, qualificatasi a sorpresa e inserita in un girone di ferro. Le possibilità degli asiatici di passare il turno a inizio Mondiale sono quasi pari a zero e servirebbe davvero una grande prova dell' undici in maglia blu per sperare. La vittoria della Corea contro il Brasile è quotata a 35, la più alta di tutti i gironi. Traete voi le conclusioni. Sarà lotta serrata fra le altre tre squadre, che si contenderanno i due posti iridati.


GRUPPO H

Infine, il gruppo H, dove è inserita la Spagna come testa di serie. Gli iberici saranno al completo, con Torres, Villa, Silva, Puyol, Casillas, Xavi, Xabi Alonso, Iniesta, Pedro, insomma un gran gruppo di campioni. I Diavoli Rossi partono ovviamente da favoriti non solo per il passaggio agli ottavi, ma anche per la vittoria finale, per non parlare del fatto che sono Campioni Europei uscenti. A contendere i risultati ai ragazzi di mister Del Bosque ci sarà la Svizzera, non eccelsa ma dai mezzi pregevoli (Inler, Frei, Barnetta su tutti), che può dire la sua, mentre appare un gradino sotto il Cile, che non presenta una rosa di grande spicco tecnico, ma che potrebbe essere ben oliato, dando le garanzie che mister Bielsa vorrebbe. Non sarà facile per i sudamericani, ma saranno lì a giocarsela. Infine, l' Honduras: c'è ben poco da dire su questa squadra, esordiente, ma che è riuscita ad approdare qui giocando delle buone qualificazioni e sorprendendo tutti. Il giocatore migliore e più conosciuto è David Suazo, attaccante ex Cagliari e Inter, che avrà il difficile compito di caricarsi sulle spalle la squadra e di portare in cassa più punti possibili. Sarà dura per i centroamericani, che paiono nettamente sfavoriti, mentre assieme alla Spagna indiziati per il passaggio agli ottavi sembrano gli elvetici.


Questi i gironi, queste le 32 squadre. Manca meno di una settimana all'inizio, quello vero, delle ostilità: non c'è più tempo per le amichevoli, per i pensieri, per le emozioni. Si comincia, è questo che conta, la voglia di fare bene, di mostrarsi, di scalare la vetta che porta alla coppa dorata che rappresenta la storia. Chi sarà il successore dell' Italia del 2006 nell' Albo D' Oro? Non resta che scoprirlo vedendo e aspettando.

Buon Mondiale a tutti.

Federico
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