lunedì 31 maggio 2010

I mistici dell'Occidente - Baustelle


“I mistici dell’occidente” Titolo evocativo, profondo e affascinante. Il quinto album dei Baustelle lascia spiazzati.
Il gruppo di Montepulciano inizia la sua carriera con due album prepotentemente psichedelici ed indie “Il sussidiario illustrato della giovinezza” e “La moda del lento” rispettivamente del 2000 e del 2003. Sono un successo: canzoni come “Gomma”, “Martina”, “La canzone del parco” sono manna per chi, ormai stanco della maggior parte dei gruppi italiani sempre più e sempre più spesso uguali a se stessi, cerca qualità e innovazione.
Nel 2005 la svolta. I Baustelle in numero ridimensionato (il tastierista Fabrizio Massara infatti abbandona il gruppo che si riduce ai tre membri attuali) passano da un etichetta indipendente ad una multinazionale, la Warner, con cui producono il terzo album “La malavita”. Molti estimatori dei primi due lavori accusano il gruppo di essersi fatto traviare dal successo e definiscono “La malavita” un album commerciale , accusa, a nostro avviso, facile e miope. Infatti secondo noi proprio questo aprirsi ad un pubblico più vasto permette a Bianconi (leader del gruppo e principale autore dei testi) di abbandonare l’eccessivo ermetismo senza perdere in poetica e profondità.
Nel 2008 esce “Amen”: i Baustelle ormai maturi creano un opera che è un perfetto connubio tra le atmosfere spinte e innovative dei primi due album e l’universalismo poetico della Malavita; un piccolo capolavoro.
“I mistici dell’occidente” viene a collocarsi ideologicamente a detta dello stesso Bianconi come seguito di “Amen”.
Il disco si apre con un brano semi-strumentale “L’indaco”, in cui un inizio d’organo suggerisce un 'aria quasi di rito, di messa, e proprio come un canto di chiesa comincia dopo un lungo intro la “preghiera” di speranza malinconica in cui le voci di Francesco e Rachele si intrecciano e si sfiorano creando un’armonia unica che ci catapulta prepotentemente all’interno di quello che si prospetta essere un viaggio di intense emozioni. L’attesa dell’ascoltatore non viene disillusa da nessuna delle quattro tracce successive, tutte, in maniera differente, estremamente coinvolgenti. Le chitarre elettriche e la melodia psichedelica di “San Francesco”, aprono la strada verso “I mistici dell’occidente” traccia che dà il nome all’album, elogio della scelta di moderni asceti di abbandonare i legami e gli agi della società per scegliere una strada che vada oltre il “materiale” e perciò il motto ricorrente “Ci salveremo disprezzando la realtà”.
La quarta traccia è “Le rane” in cui tornano i temi, cari al gruppo, del passaggio dall’adolescenza all’età adulta e della “provincia cronica”, affrontati spesso nei lavori precedenti. In più stavolta Bianconi ci propone una nostalgica fotografia di un infanzia passata in pantaloni corti correndo tra l’erba alta e i girasoli cercando le avventure lette in Salgari e trovandone di più simili a quelle narrate da Twain. Nella molteplicità dei temi poi affrontati da questa stupenda canzone troviamo anche lo scorrere inesorabile degli anni espresso nella frase che è probabilmente una delle più belle dell’album “perché il tempo ci sfugge, ma il segno del tempo rimane”.
“Gli spietati” traccia che rimanda ai pezzi dei “Rokes” ed in generale agli anni sessanta e alla Beat generation, ci accompagna nella parte centrale del disco che non possiede la “potenza” delle tracce iniziali, ma si concentra più sui testi che sulle melodie. Perciò canzoni come “Follonica”, “La canzone della rivoluzione”, “La bambolina” e “ Il sottoscritto” (quest’ultime due grandi prove individuali rispettivamente della Bastreghi e di Bianconi) vanno ascoltate più di qualche volta per apprezzarne a pieno la dimensione poetica. Fa eccezione il pezzo “Groupies” di immediato e devastante impatto: bel testo e musica coinvolgente con un intro che ricorda le melodie degli spaghetti-western e un leggero sottofondo di archi che accompagna la voce di Francesco e i cori dal sapore anni ottanta di Rachele, in un crescendo di batteria che porta ad una coda elettronicamente country.
Il finale del disco è prepotentemente segnato da una delle tracce più affascinanti dell’album che si rivela probabilmente anche una delle canzoni più belle del gruppo: “L’estate enigmistica” , in cui la melodia allegra nasconde una amara e profonda riflessione sulla caducità dei brevi attimi di felicità che la vita ci riserva “perché tanto amara è la realtà / e io non ho più l’età per riuscire a illudermi”.
E lo stesso tema è ripreso da “L’ultima notte felice del mondo” ultima traccia che viene a chiudere un album, che è, a nostro avviso, risultato di un lavoro attento e maturo ed espressione di un abilità artistica che denuncia consapevolezza delle proprie capacità ed accentuata profondità spirituale.

Stefano P.

Altre informazioni, qui.
Sito ufficiale del gruppo, qui.
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